Come vi ho detto la settimana scorsa, l'IndieBBBCafè questo mese è tutto dedicato ad Edizioni Sur, una giovane casa editrice, che ha saputo farsi largo nel mercato dell'editoria proponendo molti prodotti interessanti, di cui io prediligo quelli di narrativa anglo-americana. E di questa categoria fa parte il libro di cui vi parlo oggi Rosemary's Baby di Ira Levin: un romanzo horror, nel senso più blando del termine, ma che sa trasmettere un'incredibile tensione nervosa.
Guy e Rosemary Woodhouse sono una giovane coppia di sposi. Lui è un attore, in attesa della sua grande occasione; lei sogna una normalità borghese fatta di sicurezza economica, una bella casa, tanti figli.
Dopo lunghe ricerche hanno trovato un appartamento nel Bramford - uno storico palazzo nel cuore di Manhatta, circondato da un alone di prestigio sociale, ma anche da sinistre leggende - e di lì a poco la loro vita sembra arrivare a una svolta: Guy ottiene una parte in un'importante commedia e Rosemary rimane finalmente incinta del primo figlio. Ma non tutto è destinato ad andare per il verso giusto.
La gravidanza di Rosemary viene turbata da premonizioni e incubi notturni, da inspiegabili dolori addominali e strani incontri, e soprattutto dall'invadenza di due vicini, troppo premurosi per non risultare sospetti.
Questa volta non mi ero informata più di tanto su questo libro, non avevo nemmeno letto la trama, sapevo solo che era una storia particolare, a tratti horror, un po' inquietante. Volevo che fosse un mistero da scoprire lentamente durante la lettura. Ed è stata tutta una sorpresa, infatti, ho visto tutto attraverso gli occhi di Rosemary, ho dubitato con lei di alcuni personaggi e mi sono fidata di altri, cercando di sviluppare delle mie ipotesi sulla situazione.
E che forti emozioni ho provato! Quelle che ti tengono incollato a un libro e ti fanno saltare sulla poltrona se qualcuno ti sfiora una spalla (storia vera).
Lo stile chiaro, semplice e pulito di Ira Levin mi ha catturata, coinvolta e intrappolata nella lettura fino alla fine. Del tutto incuriosita dalla storia, avrei voluto leggerlo continuamente, senza mai posarlo per tornare alla mia vita reale; infatti l'ho divorato e l'ho finito in pochissimi giorni (ma se avessi avuto l'opportunità l'avrei finito in uno).
L'angoscia e il senso di oppressione che ho provato leggendo questo libro, non mi era mai capitato.
Rosemary ha molti amici e conoscenti che le vogliono bene e tengono a lei, e questo si percepisce da subito, anche se questi non sono molto presenti nella storia; come lettori non si dubita mai delle buone intenzioni dei suoi amici, anche quando le cose diventano complicate è solo Rosemary, confusa e frastornata, a dubitare di loro, ma il lettore non cade nel tranello.
Invece c'è una certa ambiguità, fin dall'inizio, nel comportamento degli anziani vicini di casa, del ginecologo, di altri inquilini del palazzo e, più avanti, anche di Guy il marito della protagonista. Sono gentili, affabili e generosi, sempre presenti, anche nei momenti in cui non te li aspetti, si preoccupano di Rosemary e delle sue condizioni in modo quasi morboso; ed è proprio questo estremo atteggiamento di accudimento nei suoi confronti che fa rizzare subito le antenne e insospettisce il lettore, che comincia a pensare da subito che le loro intenzioni non siano delle migliori e che abbiano un secondo fine.
Anche se questo secondo fine non sarà chiaro fino alla fine del libro, proprio fino alle ultime pagine, portando a un finale veramente inaspettato.
Un personaggio che ho detestato è stato il marito, Guy, una di quelle persone che compreresti solo per tenerla sul comodino e schiaffeggiarla ogni volta che se ne ha voglia. Egoista, egocentrico e approfittatore, che appare come gentile e amorevole, ma che invece agisce solo per un suo tornaconto personale.
E la povera Rosemary: giovane donna convinta di essere emancipata, consapevole, decisa, forte e atea, ma che si rivela invece una persona ingabbiata nei propri pregiudizi, una ragazza di campagna, trasferitasi in città, che però non accetta e ha paura di ciò che è diverso da lei (omosessuali e neri) ed è confortata dallo stereotipo di una vita borghese e tranquilla di brava mogliettina remissiva, accondiscendente e ingenua.
Ma non posso proprio dirvi altro su questa splendida storia coinvolgente e sconvolgente al tempo stesso, perché non voglio proprio rovinarvi le sorprese, la paura e l'angoscia che troverete al suo interno.
Voglio recuperare tutti i romanzi di Ira Levin, soprattutto La donna perfetta, perché Rosemary's Baby mi ha fatto scoprire uno scrittore incredibile, che sa come tenere incollati i lettori alle pagine. Sono convinta che anche le altre sue opere saranno all'altezza.
Prima però devo recuperare il film del 1968, tratto da questo romanzo, diretto da Roman Polanski e con Mia Farrow nei panni di Rosemary, perché sono veramente curiosa.
Lo stile chiaro, semplice e pulito di Ira Levin mi ha catturata, coinvolta e intrappolata nella lettura fino alla fine. Del tutto incuriosita dalla storia, avrei voluto leggerlo continuamente, senza mai posarlo per tornare alla mia vita reale; infatti l'ho divorato e l'ho finito in pochissimi giorni (ma se avessi avuto l'opportunità l'avrei finito in uno).
L'angoscia e il senso di oppressione che ho provato leggendo questo libro, non mi era mai capitato.
Rosemary ha molti amici e conoscenti che le vogliono bene e tengono a lei, e questo si percepisce da subito, anche se questi non sono molto presenti nella storia; come lettori non si dubita mai delle buone intenzioni dei suoi amici, anche quando le cose diventano complicate è solo Rosemary, confusa e frastornata, a dubitare di loro, ma il lettore non cade nel tranello.
Invece c'è una certa ambiguità, fin dall'inizio, nel comportamento degli anziani vicini di casa, del ginecologo, di altri inquilini del palazzo e, più avanti, anche di Guy il marito della protagonista. Sono gentili, affabili e generosi, sempre presenti, anche nei momenti in cui non te li aspetti, si preoccupano di Rosemary e delle sue condizioni in modo quasi morboso; ed è proprio questo estremo atteggiamento di accudimento nei suoi confronti che fa rizzare subito le antenne e insospettisce il lettore, che comincia a pensare da subito che le loro intenzioni non siano delle migliori e che abbiano un secondo fine.
Anche se questo secondo fine non sarà chiaro fino alla fine del libro, proprio fino alle ultime pagine, portando a un finale veramente inaspettato.
Un personaggio che ho detestato è stato il marito, Guy, una di quelle persone che compreresti solo per tenerla sul comodino e schiaffeggiarla ogni volta che se ne ha voglia. Egoista, egocentrico e approfittatore, che appare come gentile e amorevole, ma che invece agisce solo per un suo tornaconto personale.
E la povera Rosemary: giovane donna convinta di essere emancipata, consapevole, decisa, forte e atea, ma che si rivela invece una persona ingabbiata nei propri pregiudizi, una ragazza di campagna, trasferitasi in città, che però non accetta e ha paura di ciò che è diverso da lei (omosessuali e neri) ed è confortata dallo stereotipo di una vita borghese e tranquilla di brava mogliettina remissiva, accondiscendente e ingenua.
Ma non posso proprio dirvi altro su questa splendida storia coinvolgente e sconvolgente al tempo stesso, perché non voglio proprio rovinarvi le sorprese, la paura e l'angoscia che troverete al suo interno.
Voglio recuperare tutti i romanzi di Ira Levin, soprattutto La donna perfetta, perché Rosemary's Baby mi ha fatto scoprire uno scrittore incredibile, che sa come tenere incollati i lettori alle pagine. Sono convinta che anche le altre sue opere saranno all'altezza.
Prima però devo recuperare il film del 1968, tratto da questo romanzo, diretto da Roman Polanski e con Mia Farrow nei panni di Rosemary, perché sono veramente curiosa.