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martedì 23 maggio 2017

ROSEMARY'S BABY di Ira Levin

Come vi ho detto la settimana scorsa, l'IndieBBBCafè questo mese è tutto dedicato ad Edizioni Sur, una giovane casa editrice, che ha saputo farsi largo nel mercato dell'editoria proponendo molti prodotti interessanti, di cui io prediligo quelli di narrativa anglo-americana. E di questa categoria fa parte il libro di cui vi parlo oggi Rosemary's Baby di Ira Levin: un romanzo horror, nel senso più blando del termine, ma che sa trasmettere un'incredibile tensione nervosa.

Guy e Rosemary Woodhouse sono una giovane coppia di sposi. Lui è un attore, in attesa della sua grande occasione; lei sogna una normalità borghese fatta di sicurezza economica, una bella casa, tanti figli.
Dopo lunghe ricerche hanno trovato un appartamento nel Bramford - uno storico palazzo nel cuore di Manhatta, circondato da un alone di prestigio sociale, ma anche da sinistre leggende - e di lì a poco la loro vita sembra arrivare a una svolta: Guy ottiene una parte in un'importante commedia e Rosemary rimane finalmente incinta del primo figlio. Ma non tutto è destinato ad andare per il verso giusto.
La gravidanza di Rosemary viene turbata da premonizioni e incubi notturni, da inspiegabili dolori addominali e strani incontri, e soprattutto dall'invadenza di due vicini, troppo premurosi per non risultare sospetti.


Questa volta non mi ero informata più di tanto su questo libro, non avevo nemmeno letto la trama, sapevo solo che era una storia particolare, a tratti horror, un po' inquietante. Volevo che fosse un mistero da scoprire lentamente durante la lettura. Ed è stata tutta una sorpresa, infatti, ho visto tutto attraverso gli occhi di Rosemary, ho dubitato con lei di alcuni personaggi e mi sono fidata di altri, cercando di sviluppare delle mie ipotesi sulla situazione.
E che forti emozioni ho provato! Quelle che ti tengono incollato a un libro e ti fanno saltare sulla poltrona se qualcuno ti sfiora una spalla (storia vera).
Lo stile chiaro, semplice e pulito di Ira Levin mi ha catturata, coinvolta e intrappolata nella lettura fino alla fine. Del tutto incuriosita dalla storia, avrei voluto leggerlo continuamente, senza mai posarlo per tornare alla mia vita reale; infatti l'ho divorato e l'ho finito in pochissimi giorni (ma se avessi avuto l'opportunità l'avrei finito in uno).

L'angoscia e il senso di oppressione che ho provato leggendo questo libro, non mi era mai capitato.
Rosemary ha molti amici e conoscenti che le vogliono bene e tengono a lei, e questo si percepisce da subito, anche se questi non sono molto presenti nella storia; come lettori non si dubita mai delle buone intenzioni dei suoi amici, anche quando le cose diventano complicate è solo Rosemary, confusa e frastornata, a dubitare di loro, ma il lettore non cade nel tranello.
Invece c'è una certa ambiguità, fin dall'inizio, nel comportamento degli anziani vicini di casa, del ginecologo, di altri inquilini del palazzo e, più avanti, anche di Guy il marito della protagonista. Sono gentili, affabili e generosi, sempre presenti, anche nei momenti in cui non te li aspetti, si preoccupano di Rosemary e  delle sue condizioni in modo quasi morboso; ed è proprio questo estremo atteggiamento di accudimento nei suoi confronti che fa rizzare subito le antenne e insospettisce il lettore, che comincia a pensare da subito che le loro intenzioni non siano delle migliori e che abbiano un secondo fine.
Anche se questo secondo fine non sarà chiaro fino alla fine del libro, proprio fino alle ultime pagine, portando a un finale veramente inaspettato.

Un personaggio che ho detestato è stato il marito, Guy, una di quelle persone che compreresti solo per tenerla sul comodino e schiaffeggiarla ogni volta che se ne ha voglia. Egoista, egocentrico e approfittatore, che appare come gentile e amorevole, ma che invece agisce solo per un suo tornaconto personale.
E la povera Rosemary: giovane donna convinta di essere emancipata, consapevole, decisa, forte e atea, ma che si rivela invece una persona ingabbiata nei propri pregiudizi, una ragazza di campagna, trasferitasi in città, che però non accetta e ha paura di ciò che è diverso da lei (omosessuali e neri) ed è confortata dallo stereotipo di una vita borghese e tranquilla di brava mogliettina remissiva, accondiscendente e ingenua.
Ma non posso proprio dirvi altro su questa splendida storia coinvolgente e sconvolgente al tempo stesso, perché non voglio proprio rovinarvi le sorprese, la paura e l'angoscia che troverete al suo interno.

Voglio recuperare tutti i romanzi di Ira Levin, soprattutto La donna perfetta, perché Rosemary's Baby mi ha fatto scoprire uno scrittore incredibile, che sa come tenere incollati i lettori alle pagine. Sono convinta che anche le altre sue opere saranno all'altezza.
Prima però devo recuperare il film del 1968, tratto da questo romanzo, diretto da Roman Polanski e con Mia Farrow nei panni di Rosemary, perché sono veramente curiosa.

venerdì 31 marzo 2017

ABBIAMO SEMPRE VISSUTO NEL CASTELLO di Shirley Jackson

Non sono molto a mio agio con questo genere di letteratura. Quindi per avvicinarmi e prendere confidenza sto facendo dei piccoli passi (come questo piccolo libro). Soprattutto in previsione di ottobre, mese in cui tutte le mie letture saranno di questo genere, e anche peggio, per festeggiare alla fine Halloween.
Mi sono convinta di leggere Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson forte del fatto che non l'avrei letto da sola (perché in queste circostanze ho davvero bisogno di sostegno), ma con il gruppo di lettura di Federica Frezza, su Youtube come Prismatic310 (domenica sera ci sarà la live a riguardo).

La diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo, nella persona del cugino Charles, si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia.
Ma il malessere ci invade via via, disorientandoci.
Anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante di quanto non circoscritto ai "cattivi", ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.

Il romanzo L'incendiaria di Stephen King si apre con la dedica: "A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce".
E sembra proprio così. La narrazione appare discreta, delicata e sottotono. Una storia che comincia con toni sommessi e tranquilli, per poi scivolare nell'inquietudine e nell'angoscia. Il fatto che tutto si svolga all'interno della casa da anche un certo senso di claustrofobia.

La scrittura di Shirley Jackson è diretta, senza fronzoli, asciutta, ma che sa trasmettere forti emozioni, senza clamore, senza ostentare, senza appunto alzare la voce.
La prima metà è scorrevole, si legge in fretta e avidamente; mentre la seconda metà trasmette un certo senso di panico e angoscia e mi sono ritrovata a centellinare le pagine che mi mancavano, per non finirlo troppo in fretta, ma anche perché avevo bisogno di fare delle pause. Sì, ve l'ho già detto, sono una fifona e mi lascio impressionare facilmente.

La protagonista, Mary Katherine, è un personaggio curioso e sensibile, con il quale si entra in empatia sin dalle prime pagine. Ha una serie di credenze e superstizioni che sono veramente affascinanti e centrali per lo svolgersi della storia. In più è così protettiva nei confronti della sorella maggiore Constance, capendo i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni guardando un semplice gesto, che appare veramente tenera e servizievole. La complicità tra le due sorelle è incredibile e quasi palpabile, possono capirsi solo con uno sguardo, e questo le rilega in un mondo tutto loro "la luna" dove si ritrovano sempre e sono tranquille.
Grazie anche ai siparietti simpatici di zio Julian le situazioni acquistano una parvenza di comicità, ma il grande terribile segreto, che accomuna i tre abitanti della casa, aleggia costantemente in tutto il romanzo e non permette mai di lasciarsi andare a vere e proprie risate, ma più che altro a sorrisi maliziosi.
Il personaggio di Charles, il cugino, è veramente odioso e fastidioso; arriva all'improvviso, si comporta da padrone e a te lettore viene solo da chiederti: "ma questo cosa cavolo vuole?".

In tutto il libro non ci sono dei veri personaggi buoni o cattivi. Ognuno di loro, anche quelli che compaiono solo una volta, sono ambigui e c'è un continuo alternarsi di ruoli.
Il romanzo gioca costantemente sul concetto di male, quella cattiveria che è dentro ognuno di noi, che può portarci a commettere atti indicibili se solo la lasciamo andare.
Tutti i personaggi a un certo punto commettono degli atti cattivi, sleali e vili, per poi tentare di tornare sui propri passi e sistemare le cose. Il fatto che a tutti è concessa una seconda possibilità è fondamentale, non dobbiamo limitare il nostro giudizio a una sola azione commessa da qualcuno, ma guardare oltre e permettergli di migliorare la situazione, anche a modo suo.