Devo ammettere tutta la mia ignoranza, ma non sapevo che "Piccoli uomini" fosse la continuazione di "Piccole donne crescono". Non so dire se mi aspettassi una versione al maschile delle piccole donne, oppure un romanzo completamente diverso, ma di certo non avrei mai pensato che fosse il seguito della storia.
La zia March è da poco scomparsa, lasciando Jo unica erede della tenuta di Plumfield con la sua vasta e comoda casa. Jo respinge il consiglio di tutti, che in apparenza sarebbe il più pratico: venderla subito; perché ha dei progetti su quella casa. Ora che è diventata la moglie del professor Fritz Bhaer, sa che ha trovato in lui un alleato prezioso per trasformare la casa di zia March in un luogo di accoglienza, di educazione e di studio per bambini diseredati. Aiuteranno a sostenere le spese di una gestione che si prevede onerosa alcuni ospiti paganti, che con la loro presenza assicureranno al convitto anche un equilibrio sociale con la convivenza di ragazzi di educazione e cultura diversa. Infatti, oltre ad ospitare i gemelli della sorella Meg, Jo e suo marito accolgono anche ragazzi provenienti dalla strada, ribelli e ladruncoli. Naturalmente i Bhaer saranno sostenuti dalla collaborazione di tutta la comunità, in particolare dal cognato Laurie.
Non vorrei parlare male di questo romanzo, anche perché "Piccole donne" mi era piaciuto molto (leggi la recensione QUI), ma in realtà "Piccoli uomini" l'ho trovato noioso, pesante e poco stimolante. Mi dispiace molto per la Alcott, che con i primi due libri mi aveva conquistata, ma con questo mi ha deluso molto.
Non c'è una vera e propria trama, e questo lo dice anche l'autrice quasi a metà del libro, infatti è un elenco continuo e interminabile di avvenimenti che accadono a questi ragazzi ospiti a Plumfield. Quasi dei piccoli racconti, collegati tra loro da un debole filo, ma che non portano a niente. La storia si svolge in un arco di tempo di sei mesi, ma a me sono sembrati molto di più mentre leggevo. Ci sono stati dei momenti in cui volevo abbandonarlo, chiuderlo, rimetterlo nella libreria e non rivederlo mai più; ma ho resistito, ogni volta convincendomi che dovevo dagli ancora una possibilità. Ho fatto molta fatica a finirlo e la noia e la delusione mi hanno accompagnato fino all'ultima pagina.
In questa storia la protagonista è Jo con i suoi bambini, quindi le altre sorelle March (Meg e Amy) e gli altri personaggi, che avevamo conosciuto e amato nei romanzi precedenti, passano in secondo piano comparendo pochissime volte; questo mi ha rattristato un po', ma non è la cosa peggiore che sia capitata. La cosa che mi ha deluso più di tutto è la rinuncia, da parte di Jo, di diventare una scrittrice. Questa decisione era già stata accennata alla fine di "Piccole donne crescono", ma speravo ci ripensasse ... e invece rinuncia al sogno di una vita per aprire una scuola. Non fraintendetemi, aprire una scuola e aiutare dei ragazzi in difficoltà è bellissimo, ma non mi sembra una cosa da Jo: lei non doveva essere una donna all'avanguardia? Una scrittrice famosa e di successo, in un periodo della storia in cui la penna la impugnavano solo gli uomini? Forse ho sbagliato io a puntare troppo su di lei e la sua carriera, portandomi a sbattere contro una cocente delusione.
Un punto a favore, e sicuramente una nota distintiva, di questo romanzo è l'originalità della scuola dei coniugi Bhaer. Si tratta di un progetto veramente all'avanguardia per quel periodo; un ambiente, prima di tutto, familiare e poi scolastico ed educativo. Un metodo che riunisce in sé alcuni dei sistemi educativi che noi usiamo oggi, a più di 150 anni di distanza. Il metodo Montessori, ma anche il semplice uso delle classi miste, sono solo alcuni esempi dei metodi utilizzati da Jo e Fritz per educare i loro ragazzi. Sicuramente l'idea di scuola della Alcott anticipava molto i tempi.
Come nei romanzi precedenti, non mancano molte situazioni alla "Mulino bianco", come mi piace chiamarle. Tutti sono felici, allegri, si comportano bene, si amano immensamente e tutto andrà a finire per il meglio. Tutto. Ma proprio tutto va sempre nel verso giusto. Anche il metodo educativo adottato non fallisce mai, ma porta sempre a risultati ottimi. A lungo andare questo estremo buonismo e perenne ottimismo mi urtano leggermente i nervi, io preferisco libri un po' più realistici.
Per concludere, l'agonia è stata tale che mi ha impedito di proseguire nella lettura degli altri capolavori di Louisa May Alcott, infatti mi mancano: "I ragazzi di Jo" (seguito naturalmente di "Piccoli uomini") e "Un lungo, fatale inseguimento d'amore" (di questo, alcune fonti mi dicono che sia completamente diverso dal solito stile Alcott, un po' più crudo, ma tale notizia non mi ha ancora spinto a leggerlo). Per ora il segnalibro è fermo all'ultima pagina di "Piccoli uomini" e credo che non si muoverà da lì ancora per molto tempo.
VOTO: 5/10
Non vorrei parlare male di questo romanzo, anche perché "Piccole donne" mi era piaciuto molto (leggi la recensione QUI), ma in realtà "Piccoli uomini" l'ho trovato noioso, pesante e poco stimolante. Mi dispiace molto per la Alcott, che con i primi due libri mi aveva conquistata, ma con questo mi ha deluso molto.
Non c'è una vera e propria trama, e questo lo dice anche l'autrice quasi a metà del libro, infatti è un elenco continuo e interminabile di avvenimenti che accadono a questi ragazzi ospiti a Plumfield. Quasi dei piccoli racconti, collegati tra loro da un debole filo, ma che non portano a niente. La storia si svolge in un arco di tempo di sei mesi, ma a me sono sembrati molto di più mentre leggevo. Ci sono stati dei momenti in cui volevo abbandonarlo, chiuderlo, rimetterlo nella libreria e non rivederlo mai più; ma ho resistito, ogni volta convincendomi che dovevo dagli ancora una possibilità. Ho fatto molta fatica a finirlo e la noia e la delusione mi hanno accompagnato fino all'ultima pagina.
In questa storia la protagonista è Jo con i suoi bambini, quindi le altre sorelle March (Meg e Amy) e gli altri personaggi, che avevamo conosciuto e amato nei romanzi precedenti, passano in secondo piano comparendo pochissime volte; questo mi ha rattristato un po', ma non è la cosa peggiore che sia capitata. La cosa che mi ha deluso più di tutto è la rinuncia, da parte di Jo, di diventare una scrittrice. Questa decisione era già stata accennata alla fine di "Piccole donne crescono", ma speravo ci ripensasse ... e invece rinuncia al sogno di una vita per aprire una scuola. Non fraintendetemi, aprire una scuola e aiutare dei ragazzi in difficoltà è bellissimo, ma non mi sembra una cosa da Jo: lei non doveva essere una donna all'avanguardia? Una scrittrice famosa e di successo, in un periodo della storia in cui la penna la impugnavano solo gli uomini? Forse ho sbagliato io a puntare troppo su di lei e la sua carriera, portandomi a sbattere contro una cocente delusione.
Un punto a favore, e sicuramente una nota distintiva, di questo romanzo è l'originalità della scuola dei coniugi Bhaer. Si tratta di un progetto veramente all'avanguardia per quel periodo; un ambiente, prima di tutto, familiare e poi scolastico ed educativo. Un metodo che riunisce in sé alcuni dei sistemi educativi che noi usiamo oggi, a più di 150 anni di distanza. Il metodo Montessori, ma anche il semplice uso delle classi miste, sono solo alcuni esempi dei metodi utilizzati da Jo e Fritz per educare i loro ragazzi. Sicuramente l'idea di scuola della Alcott anticipava molto i tempi.
Come nei romanzi precedenti, non mancano molte situazioni alla "Mulino bianco", come mi piace chiamarle. Tutti sono felici, allegri, si comportano bene, si amano immensamente e tutto andrà a finire per il meglio. Tutto. Ma proprio tutto va sempre nel verso giusto. Anche il metodo educativo adottato non fallisce mai, ma porta sempre a risultati ottimi. A lungo andare questo estremo buonismo e perenne ottimismo mi urtano leggermente i nervi, io preferisco libri un po' più realistici.
Per concludere, l'agonia è stata tale che mi ha impedito di proseguire nella lettura degli altri capolavori di Louisa May Alcott, infatti mi mancano: "I ragazzi di Jo" (seguito naturalmente di "Piccoli uomini") e "Un lungo, fatale inseguimento d'amore" (di questo, alcune fonti mi dicono che sia completamente diverso dal solito stile Alcott, un po' più crudo, ma tale notizia non mi ha ancora spinto a leggerlo). Per ora il segnalibro è fermo all'ultima pagina di "Piccoli uomini" e credo che non si muoverà da lì ancora per molto tempo.
VOTO: 5/10