martedì 27 gennaio 2015

LA MIA AMICA EBREA di Rebecca Domino

Il 27 Gennaio è una data importante, una giornata importantissima, che tutti noi dovremmo ricordare e celebrare: è il Giorno della Memoria. Per non dimenticare mai, mai e poi mai le atrocità commesse durante la Seconda Guerra Mondiale. Per non dimenticare lo sterminio di uomini, donne e bambini innocenti. Perché se tutti noi ricordiamo, la Storia non si ripete.
Ogni anno, in questa occasione, vi propongo un libro che riguarda questo argomento, e quest'anno vi voglio parlare di questo romanzo, ancora poco conosciuto, di una giovane e brava scrittrice italiana.

Amburgo, 1943. La vita di Josepha, quindici anni, trascorre fra le uscite con le amiche, le lezioni e i sogni, nonostante la Seconda Guerra Mondiale. Le cose cambiano quando suo padre decide di nascondere in soffitta una famiglia di ebrei. Fra loro c'è Rina, quindici anni, grandi e profondi occhi scuri.
Giorno dopo giorno sboccia una delicata amicizia fra una ragazzina ariana, che è cresciuta con la propaganda di Hitler, e una ragazzina ebrea, che si sta nascondendo da quello che sembra essere il destino di tutta la sua gente.
Ma quando Josepha dovrà rinunciare improvvisamente alla sua casa e dovrà lottare per continuare a sperare e per cercare di proteggere Rina, l'unione fra le due ragazze, in una Amburgo martoriata dalle bombe e dalla paura, continuerà a riempire i loro cuori di speranza.
Un romanzo che accende i riflettori su uno dei lati meno conosciuti dell'Olocausto, la voce degli "eroi silenziosi", quelli che hanno aiutato gli ebrei in uno dei periodi più bui della Storia.

Come il "Diario di Anna Frank" questo romanzo, della giovane Rebecca Domino, potrebbe essere letto dai ragazzi di tutto il mondo, che si stanno avvicinando a questo argomento così delicato e doloroso.
Racconta la storia della vita di una adolescente come tante, da tutti chiamata Seffi, divisa tra amici e famiglia, con le sue emozioni, i suoi pensieri e i suoi sogni, con convinzioni che le hanno insegnato e che ritiene giuste, finché la Seconda Guerra Mondiale (e tutto ciò che ne consegue) non la spingeranno a metterle in discussione.
L'età della protagonista è un'età critica per tutti, rappresenta quel momento della vita in cui si comincia a pensare con la propria testa e il mondo che ci circonda comincia a cambiare il suo aspetto, perché noi cambiamo, la nostra mente cambia. Tutto questo, per la povera Seffi, è accentuato dalla guerra che incombe e anche estremamente accelerato. Lungo tutto il romanzo la vediamo crescere, maturare, abbattere barriere nella sua mente e sostituirle con idee nuove. Purtroppo tutto questo la porterà a distaccarsi dalle persone intorno a lei, come le sue amiche d'infanzia, ma questo è il prezzo da pagare per chi la pensa diversamente dagli altri.
Naturalmente, il fatto che la protagonista sia una adolescente, non vuol dire che questo libro debba essere ghettizzato nella sezione "giovani lettori" e che non sia adatto ad un pubblico più maturo, al contrario, è perfetto per persone di qualunque età.

Gli altri personaggi sono ben caratterizzati. Il padre è un personaggio importantissimo: silenzioso e pacato, ma la sue idee e pensieri riescono a penetrare all'interno della mente di Seffi, cambiandola per sempre. Al contrario la madre e il fratello sono estremamente scontrosi, ottusi e imprigionati nelle loro convinzioni sbagliate, e ciò comporta una certa ostilità verso di loro da parte del lettore.
Bella e sfruttata molto bene la corrispondenza tra Seffi e Rina, da un lato è utile per farle avvicinare e capire di non essere così diverse tra loro, dall'altro purtroppo sarà la causa della loro separazione.

Il concetto di morte aleggia come un fantasma su tutte le pagine del romanzo, e credo che rispecchi molto bene lo stato d'animo delle persone in quel determinato periodo. Ma è anche presente la speranza, perché dopo tutta quella morte, la medicina ideale per l'anima è l'amore puro e semplice, è necessario, quasi indispensabile. Il desiderio di vivere una vita normale è sempre presente in Seffi, non la abbandona mai, tanto da spingerla a fidarsi di chi non dovrebbe.
Il finale è sconvolgente, non me lo aspettavo proprio, e vi lascerà senza fiato.

"La mia amica ebrea" è un racconto di fantasia, ma Rebecca Domino ha fatto un enorme lavoro di documentazione su questo periodo storico, come si può notare pagina dopo pagina, che ha aiutato a rendere tutto il libro più realistico e credibile. La finzione costruita su un periodo storico, se fatta bene, può dare il sentore di cosa può essere stato quel periodo. Ed è il caso di questo romanzo.
Un piccolo lato negativo è che alcune volte si trascina un po', diventa ridondante, e alcune cose sembrano essere messe lì per allungare il brodo, ma la storia rimane comunque interessante e appassionante.

giovedì 22 gennaio 2015

LA COLLINA DEL VENTO di Carmine Abate

Vi ricordate il Giro d'Italia letterario organizzato da Paola del blog Se una notte d'inverno un lettore, vero?? Bene, il Giro è terminato a dicembre 2014 e Paola, per motivi tecnici, ha cambiato blog e ora la potete trovare su Un baule pieno di gente. Potete trovarci anche su Facebook se volete.
A causa della lunga pausa che ho preso dal blog non sono riuscita a raccontarvi i libri che abbiamo letto. L'anno scorso vi ho parlato solo di due di essi: La paga del sabato (tappa del Piemonte) e Cristo si è fermato a Eboli (tappa della Basilicata).
Ora ho intenzione di recuperare il tempo perduto, quindi riparto da dove mi ero fermata con la Calabria e il suo "La collina del vento" di Carmine Abate.

Impetuoso, lieve, sconvolgente: è il vento che soffia senza requie sulle pendici del Rossarco, leggendaria, enigmatica altura a pochi chilometri dal mar Jonio. Il vento scuote gli olivi secolari e gli arbusti odorosi, ulula nel buio, canta di un antico segreto sepolto e fa danzare le foglie come ricordi dimenticati.
Proprio i ricordi condivisi sulla "collina del vento" costituiscono le radici profonde della famiglia Arcuri, che da generazioni considerano il Rossarco non solo luogo sacro delle origini, ma anche simbolo di una terra vitale che non si arrende e tempio all'aria aperta di una dirittura etica forte quanto una fede. Così, quando il celebre archeologo Paolo Orsi sale sulla collina alla ricerca della mitica città di Krimisa e la campagna di scavi si tinge di giallo, gli Arcuri cominciano a scontrarsi con l'invidia violenta degli uomini, la prepotenza del latifondista locale e le intimidazioni mafiose. Testimone fin da bambino di questa resistenza ai soprusi  è Michelangelo Arcuri, che molti anni dopo diventerà il custode della collina e dei suoi inconfessabili segreti. Ma spetterà a Rino, il più giovane degli Arcuri, di onorare una promessa fatta al padre e ricostruire un secolo di storia familiare che s'intreccia con la grande storia d'Italia.

Non so nemmeno come spiegarvi quanto io ami le saghe familiari. Avete presente quei libroni giganteschi, pesanti, pieni di pagine, in cui è racchiusa la storia di una famiglia (o più), una storia che ripercorre anni, decenni, o anche secoli, dove gli avvenimenti storici sono legati a doppio filo con i personaggi? Ecco, io adoro quei romanzi, mi affascinano e appassionano immensamente.
Tutto questo per dire che "La collina del vento" sembrava un libro così, come vi ho descritto, prometteva una saga familiare spalmata su tutto il Novecento italiano, ma non ha mantenuto appieno la promessa.

Abate propone una saga, a mio parere, un po' sterile, scarna, con molte carenza nella struttura stessa della storia; come ad esempio manca gran parte della contestualizzazione storica tipica di questi romanzi. A parte qualche piccolo accenno alla guerra, non ho trovato altro della storia italiana. Togliendo quei pochi riferimenti storici, la vita della famiglia protagonista potrebbe svolgersi in qualunque posto del mondo e in qualsiasi epoca.

Altro punto debole sono i personaggi. Apparentemente interessanti e diversi tra loro, ma non abbastanza approfonditi. Non sono ben caratterizzati e questo comporta che non restino impressi nella mente del lettore. Appena terminata la lettura faticavo a ricordarli tutti chiaramente, figuriamoci ora che sono passati mesi.
I personaggi sono fondamentali in qualsiasi romanzo, ancora di più in libri come questo, in cui sono numerosi e quindi il lettore non deve faticare nel riconoscerli; ma anzi dovrebbe capire subito di chi si sta parlando, senza dover ripercorrere a ritroso le pagine, altrimenti la lettura ne risente e diventa pesante.
Vero protagonista, in questo caso, è il Rossarco, tutto gira intorno a questa collina splendida, tutto inizia e finisce in quel luogo. La collina viene descritta molto bene, in ogni suo particolare: dalla terra coltivata al boschetto nelle vicinanze, dal sole che splende al vento che soffia su di essa. Rimane sicuramente impressa ed è così suggestiva e magica da rappresentare quasi un giardino dell'Eden moderno.

Secondo me, le piccole sgrammaticature e parole dialettali presenti lungo la storia, fanno perdere fluidità al racconto e alla lettura, la quale deve rallentare per capire, e a volte "tradurre", frammentando così la storia stessa. Ma forse è una cosa che è accaduta solo a me, non essendo di quella regione e non avendo molta familiarità con il dialetto del posto. Magari una seconda lettura sarebbe più fluida e scorrevole.

Tutto viene spiegato velocemente e sommariamente. Come ad esempio il grande segreto familiare, che ci accompagna per tutto il libro, vero cardine della storia, in realtà ci viene spiegato in tre semplici righe alla fine del romanzo. Liquidato così velocemente perde tutta la sua importanza e lascia il lettore un po' perplesso e deluso.
Il finale sembra scritto di corsa, con poca attenzione, più per chiudere il libro in fretta, che per dare spiegazioni al lettore e dargli una degna conclusione.
Aveva buone possibilità, ma purtroppo è risultata una lettura un po' deludente e che lascia poco una volta sfogliate tutte le pagine e chiuso definitivamente il libro.

venerdì 9 gennaio 2015

CRONACHE DAL GRUPPO DI LETTURA #4

Questa non è la classica recensione del Gruppo di Lettura, quella divisa in tappe e con tutti i commenti dei partecipanti che ho riportato le volte scorse. Perché noi del GDL scratch-made siamo un gruppo fuori dal comune, caotico (qualcuno più di altri) e ci piace cambiare le regole in corsa. Questa volta dovevamo "sanare la nostra vergogna", cioè recuperare quell'autore che avremmo sempre voluto leggere, ma che per un motivo o per l'altro non l'abbiamo mai fatto. Così ognuno di noi ha dovuto scegliere il suo scrittore/vergogna, io ho optato per John Steinbeck e ho vergognosamente letto Uomini e topi.



Un libro pensato per un pubblico che non sapeva né leggere né scrivere (i braccianti della California). "Uomini e topi" è un breve romanzo, ricco di dialoghi, che, nelle intenzioni di Steinbeck, avrebbe dovuto essere in seguito adattato per il teatro e per il cinema, come difatti avvenne.
I protagonisti sono due lavoratori stagionali: George Milton, un uomo sveglio, buono e determinato; e l'inseparabile Lennie Little, un gigante con il cuore e la mente di un bambino. Purtroppo, il destino e la malizia degli uomini sospingono quest'ultimo verso una fine straziante.
Il ritratto di un'America stretta dalla sua peggiore crisi economica nella drammatica rappresentazione di un maestro.




Ad essere sincera non ho molto da dire su questo romanzo, forse sto ancora marinando le idee; forse perché è un libro molto breve (meno di 100 pagine) ed io, invece, preferisco libri molto più lunghi, quelli che ti sfiniscono da quante pagine hanno, ma che mi sembra mi diano più informazioni sulla storia e i personaggi, proprio perché hanno un numero sufficiente di pagine per spiegarsi fino in fondo.
Comunque, "Uomini e topi" è all'interno della lista dei 100 libri da leggere secondo la BBC, e visto che prima o poi li leggerò tutti (magari salterò quello di "Winnie the Pooh", che non ho ancora ben capito casa ci faccia lì in mezzo), ho colto la palla al balzo e mi sono lasciata trasportare nell'America degli anni 30, messa in ginocchio dalla crisi economica, in compagnia di George e del tenero Lennie.

I personaggi sono ben delineati, si capisce subito chi sono i buoni e chi i cattivi della storia, e purtroppo non sempre i buoni ottengono ciò che vogliono. Mi piacciono i romanzi che in un certo modo finiscono male, quelli senza lieto fine che, diciamolo, dopo un po' infastidisce; perché la vita non è sempre giusta, il bene non vince sempre sul male e libri come "Uomini e topi" ti aiutano a ricordarlo.
Sin dall'inizio si ha la sensazione che non sia una storia che va a finire bene, si intuisce molto presto che succederà qualcosa che farà precipitare la situazione.

Essendo breve e scritto in un modo molto semplice, visto il pubblico a cui era rivolto, si legge in fretta. L'ho trovato scorrevole per gran parte della storia, per poi rallentare notevolmente verso la fine. Questo rallentamento Steinbeck lo usa come specchio dello stato d'animo di George alla fine del libro. Tutto attorno a lui, dall'ambiente ai personaggi, si adatta al suo ritmo più lento e riflessivo, e questo viene trasmesso da ogni parola ponderata, ogni silenzio descritto e da ogni gesto cauto e appena accennato.
Grazie al cambio di ritmo è possibile comprendere che per George non è stato per nulla facile prendere quella decisione alla fine del libro, ma purtroppo non aveva scelta.

Non sicuramente uno dei miei libri preferiti, ma mi è piaciuto e probabilmente deve essere letto più di una volta. Una cosa è sicura: mi ha lasciato addosso una grande tristezza che ancora ora mi accompagna.

Vi lascio i link alle recensioni degli altri partecipanti al GDL, così potete andare a spiare le loro vergogne:
- Scratchbook con Mattatoio n. 5 di Kurt Vonnegut
- La Leggivendola con La strada di Cormac McCarthy
- Le mele del silenzio con Il professore di desiderio di Philip Roth
- Letture sconclusionate con Alla fine John muore di David Wong

mercoledì 7 gennaio 2015

L'ABBRACCIO PERFETTO di Kempes Astolfi

Dopo tanto, troppo, tempo di latitanza dal blog eccomi di nuovo qui, pronta a condividere tutte le mie letture con voi. L'anno nuovo è sempre accompagnato da buoni propositi e quindi approfitto di questa sede per farne solo uno (il più importante), cioè di essere più presente e attiva nel blog!!!
Ecco la prima recensione del 2015, in cui vi parlo del primo romanzo di un giovane scrittore italiano: Kempes Astolfi, che oltre a fare il regista e lo sceneggiatore dal 2001 ha deciso di seguire anche la strada di scrittore e io gli auguro ogni fortuna.

Può un legame temporaneo rimanere per sempre nelle menti delle persone?
Cosa c'è di meglio di una serata in cui il tuo incontro rimane perfetto, impeccabile?
Una persona ha fatto una scelta unica, figlia del coraggio: lanciare un segnale dai profondi valori in una società che accoglie sempre più la superficialità tra le proprie fila e la contestualizza come normalità.
Una giornalista caduta nella tela del ragno indaga su qualcosa di prevedibile, che scopre diventare incredibile sotto i suoi occhi.
Mistero, fascino, attrazione, azione, imprevisti. Una catena di eventi sfiderà il Destino, perché nulla accade per caso. Nulla accade, se non all'insegna di un uomo, che non ha un nome, ma è conosciuto solo come J.

Un buon primo romanzo, ben scritto e con un ottimo lessico. Ha uno stile molto metropolitano, ambientato tra New York e Londra e anche con un piccolo passaggio nel nostro Bel Paese.
Mi piacciono molto i romanzi, come questo, che saltano da un personaggio all'altro e anche da un tempo all'altro (presente e passato), per dare un quadro generale della storia al lettore. Se fatto bene, non si corre il rischio di perdere il filo della storia e il suo continuum non ne risente.

Un messaggio semplice, ma non banale, sta alla base del gesto di J. Anche se credo che non sempre la missione di J vada come lui speri, che non produca i frutti da lui desiderati. Perché a volte lui riesce ad aprire la mente delle ragazze che incontra, regalando loro una prospettiva migliore, più rosea e forse una svolta nella loro vita. Ma altre volte, quel breve incontro, quel fugace contatto che J regala, si insinua come un tarlo nella mente delle donne, per non lasciarle più.
Perché noi donne siamo un po' così, ammettiamolo.
Per non smentire lo stereotipo della donna ossessionata da un uomo appena conosciuto c'è Amanda. Decisa a ritrovare quell'uomo con cui ha condiviso solo poche ore, qualche anno prima. Per lei è una missione talmente importante da influenzare tutta la sua vita, il suo lavoro e anche il suo futuro. Ma continuando la lettura si comprende, insieme a lei, che ci sono motivazioni molto più profonde che la spingono a questa caccia all'uomo.

Se J è il cavalier servente, il frutto proibito, l'uomo da conquistare a tutti i costi, nel romanzo c'è anche il suo antagonista per eccellenza: Dexter. Questi non rispetta le donne e non vuole aiutarle come invece fa J (o crede di fare). Al contrario, egli le usa solo per il proprio piacere, una volta conquistata la donna perde qualsiasi interesse ai suoi occhi, è solo un oggetto da possedere per poco tempo e poi buttare via.

Ci sono punti che restano in sospeso, perché questa è una storia che sembra non concludersi e questo non è un male. La storia sembra, invece, prendere vita propria, staccarsi dal romanzo e continuare fuori dalle pagine una volta chiuso il libro. Sono convinta che J e Amanda, con tutti gli altri personaggi, siano lì fuori, nel mondo reale, a continuare le loro vite... a continuare questa storia intrigante.

Rinnovo a Kempes Astolfi il mio auguri per la sua carriera di scrittore e vi lascio con alcune informazioni sul suo romanzo, che mi sono state date direttamente da lui e che ritengo molto interessanti.
Ad esempio che nella seconda ristampa verrà inserita la prefazione dell'attrice Ornella Muti, una cosa che non succede tutti i giorni e sicuramente l'autore ne sarà onorato.
Per chi volesse è scaricabile si Itunes Store la canzone "The Perfect Hug" scritta appositamente per questo libro.
In più il libro "L'abbraccio perfetto" è stato opzionato dalla Bic Production per la realizzazione di un film, che personalmente non vedo l'ora di vedere.