lunedì 27 agosto 2012

PICCOLI UOMINI di Louise May Alcott

Devo ammettere tutta la mia ignoranza, ma non sapevo che "Piccoli uomini" fosse la continuazione di "Piccole donne crescono". Non so dire se mi aspettassi una versione al maschile delle piccole donne, oppure un romanzo completamente diverso, ma di certo non avrei mai pensato che fosse il seguito della storia.

La zia March è da poco scomparsa, lasciando Jo unica erede della tenuta di Plumfield con la sua vasta e comoda casa. Jo respinge il consiglio di tutti, che in apparenza sarebbe il più pratico: venderla subito; perché ha dei progetti su quella casa. Ora che è diventata la moglie del professor Fritz Bhaer, sa che ha trovato in lui un alleato prezioso per trasformare la casa di zia March in un luogo di accoglienza, di educazione e di studio per bambini diseredati. Aiuteranno a sostenere le spese di una gestione che si prevede onerosa alcuni ospiti paganti, che con la loro presenza assicureranno al convitto anche un equilibrio sociale con la convivenza di ragazzi di educazione e cultura diversa. Infatti, oltre ad ospitare i gemelli della sorella Meg, Jo e suo marito accolgono anche ragazzi provenienti dalla strada, ribelli e ladruncoli. Naturalmente i Bhaer saranno sostenuti dalla collaborazione di tutta la comunità, in particolare dal cognato Laurie.

Non vorrei parlare male di questo romanzo, anche perché "Piccole donne" mi era piaciuto molto (leggi la recensione QUI), ma in realtà "Piccoli uomini" l'ho trovato noioso, pesante e poco stimolante. Mi dispiace molto per la Alcott, che con i primi due libri mi aveva conquistata, ma con questo mi ha deluso molto.
Non c'è una vera e propria trama, e questo lo dice anche l'autrice quasi a metà del libro, infatti è un elenco continuo e interminabile di avvenimenti che accadono a questi ragazzi ospiti a Plumfield. Quasi dei piccoli racconti, collegati tra loro da un debole filo, ma che non portano a niente. La storia si svolge in un arco di tempo di sei mesi, ma a me sono sembrati molto di più mentre leggevo. Ci sono stati dei momenti in cui volevo abbandonarlo, chiuderlo, rimetterlo nella libreria e non rivederlo mai più; ma ho resistito, ogni volta convincendomi che dovevo dagli ancora una possibilità. Ho fatto molta fatica a finirlo e la noia e la delusione mi hanno accompagnato fino all'ultima pagina.

In questa storia la protagonista è Jo con i suoi bambini, quindi le altre sorelle March (Meg e Amy) e gli altri personaggi, che avevamo conosciuto e amato nei romanzi precedenti, passano in secondo piano comparendo pochissime volte; questo mi ha rattristato un po', ma non è la cosa peggiore che sia capitata. La cosa che mi ha deluso più di tutto è la rinuncia, da parte di Jo, di diventare una scrittrice. Questa decisione era già stata accennata alla fine di "Piccole donne crescono", ma speravo ci ripensasse ... e invece rinuncia al sogno di una vita per aprire una scuola. Non fraintendetemi, aprire una scuola e aiutare dei ragazzi in difficoltà è bellissimo, ma non mi sembra una cosa da Jo: lei non doveva essere una donna all'avanguardia? Una scrittrice famosa e di successo, in un periodo della storia in cui la penna la impugnavano solo gli uomini? Forse ho sbagliato io a puntare troppo su di lei e la sua carriera, portandomi a sbattere contro una cocente delusione.

Un punto a favore, e sicuramente una nota distintiva, di questo romanzo è l'originalità della scuola dei coniugi Bhaer. Si tratta di un progetto veramente all'avanguardia per quel periodo; un ambiente, prima di tutto, familiare e poi scolastico ed educativo. Un metodo che riunisce in sé alcuni dei sistemi educativi che noi usiamo oggi, a più di 150 anni di distanza. Il metodo Montessori, ma anche il semplice uso delle classi miste, sono solo alcuni esempi dei metodi utilizzati da Jo e Fritz per educare i loro ragazzi. Sicuramente l'idea di scuola della Alcott anticipava molto i tempi.
Come nei romanzi precedenti, non mancano molte situazioni alla "Mulino bianco", come mi piace chiamarle. Tutti sono felici, allegri, si comportano bene, si amano immensamente e tutto andrà a finire per il meglio. Tutto. Ma proprio tutto va sempre nel verso giusto. Anche il metodo educativo adottato non fallisce mai, ma porta sempre a risultati ottimi. A lungo andare questo estremo buonismo e perenne ottimismo mi urtano leggermente i nervi, io preferisco libri un po' più realistici.

Per concludere, l'agonia è stata tale che mi ha impedito di proseguire nella lettura degli altri capolavori di Louisa May Alcott, infatti mi mancano: "I ragazzi di Jo" (seguito naturalmente di "Piccoli uomini") e "Un lungo, fatale inseguimento d'amore" (di questo, alcune fonti mi dicono che sia completamente diverso dal solito stile Alcott, un po' più crudo, ma tale notizia non mi ha ancora spinto a leggerlo). Per ora il segnalibro è fermo all'ultima pagina di "Piccoli uomini" e credo che non si muoverà da lì ancora per molto tempo.

VOTO: 5/10

mercoledì 8 agosto 2012

PICCOLE DONNE e PICCOLE DONNE CRESCONO di Louise May Alcott

Ho deciso di parlare di questi due libri in un unico post perché è vero che in origine vennero pubblicati separatamente, ma l'autrice stessa li considerava due parti dello stesso romanzo. In America è tuttora pubblicato in un unico libro (le stesse trasposizioni cinematografiche dimostrano come venga considerato un unico romanzo); mentre in Italia, come in Francia e altri paesi, viene sempre separato in due parti distinte, rispettivamente "Piccole donne" e "Piccole donne crescono".

Le protagoniste sono le quattro sorelle March: Meg, Jo, Beth e Amy; ognuna con il proprio carattere, le proprie passioni e le proprie aspettative per il futuro. Molto diverse tra loro, ma unite da un forte sentimento di famiglia e di amore reciproco. Attorno a loro ruotano altri importanti personaggi come la madre; la fedele donna di servizio Hannah; l'anziana zia March, benestante e bisbetica; il signor Laurence, il facoltoso e generoso vicino di casa e il suo giovane e affascinante nipote Laurie. Il primo romanzo racconta le avventure delle sorelle March durante l'anno trascorso senza il padre, perché impegnato in guerra. Un anno difficile, in cui tutte loro cercano di dare un contributo, sostenendo la madre e impegnandosi insieme a mandare avanti la casa; senza mai perdere il buon umore e la buona volontà.
Nel secondo romanzo, come nel primo, i problemi sono quelli che affrontano tutte le ragazze che stanno crescendo: i primi amori, le prime delusioni, il confronto con la morte e le difficoltà di entrare nel mondo degli adulti. Meg si è sposata e ha avuto due figli. Jo è decisa a coltivare la sua passione per la scrittura e si trasferisce a New York. Amy è in procinto di partire per l'Europa in compagnia della zia March, un viaggio che le farà scoprire l'amore. Mentre la povera Beth, sempre stata di salute cagionevole, è contenta di rimanere a casa ad occuparsi della madre, ma una malattia la strapperà prematuramente all'amata famiglia.

La conoscenza che avevo di questa storia deriva dal cartone animato "Una per tutte, tutte per una", che guardavo quando ero piccola. Abbastanza fedele al libro e con un titolo che esprime appieno il sentimento che lega queste giovani donne. Si tratta di un romanzo per adolescenti ed io sono "leggermente" fuori età; ma l'ho letto solo ora perché, quando ero più giovane, i miei interessi letterari erano diversi e leggevo soprattutto i libri della collana "Piccoli brividi". Nonostante la mia età, e l'età del libro, non mi ha deluso e l'ho trovato interessante, appassionante e ancora attuale. Le tematiche affrontate sono molte, le protagoniste sono adolescenti come tante, con caratteri e inclinazioni diverse; quindi anche un'adolescente dei giorni nostri può rispecchiarsi in una di loro e seguirla lungo il cammino che la porterà all'età adulta.

Ho trovato molto interessante il personaggio della madre, una donna stoica e coraggiosa, costretta a farsi carico della famiglia in un periodo non dei migliori. Molto orgogliosa delle sue figlie e della loro vita. All'inizio sembra un personaggio marginale, ma proseguendo nella lettura, si capisce che è grazie a lei che quelle quattro ragazza sono così intelligenti, umili e affrontano la vita a testa alta, senza perdere il sorriso anche nei momenti peggiori. Non è una madre autoritaria, del tipo "è così perché lo dico io!", ma è comprensiva e impartisce lezioni fondamentali e necessarie in modo molto discreto e tranquillo, lasciando che le sue "bambine" capiscano gli errori fatti e risolvano i loro problemi da sole, senza però perderle di vista e rimanendo dietro le quinte pronta a dare dei preziosi consigli.
Il tutto è condito da un estremo "buonismo", che risulta forse eccessivo agli occhi di una donna che vive nel mondo reale... La sensazione, nel leggere alcune parti, è stata simile a quella che si prova guardando le pubblicità del Mulino Bianco: famiglia perfetta con figli perfetti a cui non può succedere niente di male, tutti sono sempre felici e ad ogni ingiustizia si porge sempre l'altra guancia. Un micro-mondo utopistico e, a volte, un po' stucchevole. Anche la morte di Beth è trattata con tanta naturalezza e accettazione, senza drammi né disperazioni, da sembrare un  po' finta e costruita; coerente con il loro piccolo mondo "perfetto", ma non applicabile alla nostra vita di tutti i giorni.

Come si può vedere dalla foto, la mia edizione di "Piccole donne" fa parte dei Mammut della Newton Compton Editori (che io adoro per le copertine). Questo gigantesco volume (comprende anche "Piccoli uomini", "I ragazzi di Jo" e "Un lungo, fatale inseguimento d'amore") inizia con una splendida introduzione di Chiara Gamberale, che ho trovato molto divertente e appassionata; da quelle poche pagine traspare tutto l'amore e la passione che questa scrittrice prova per il romanzo della Alcott. Come se non bastasse c'è anche un'intelligente e poetica premessa di Berenice. Questi due elementi aggiuntivi mi hanno fatto amare questo romanzo ancora prima di cominciare a leggerlo.

Senza alcun dubbio è un intramontabile capolavoro della letteratura mondiale. Un bel romanzo per le piccole donne di ieri, oggi e domani. E per chi oramai non è più un' adolescente, è un'occasione per ridere del fatto che, in quegli anni, una ragazza di 25 anni non ancora sposata veniva considerata una vecchia zitella...a me fa sempre sorridere molto.

VOTO: 8.5/10